Scrivere di una voce perduta fa male alle mani e al cuore.
Io non lo conosco il tono giusto del saluto. E forse neanche il tempo. Forse neanche le parole.
Ma conosco una voce sincera, una voce che ho amato molto, una voce che conosce le storie dei treni e delle persone che camminano a testa bassa. Storie fragili, intime e nascoste.
Il tono giusto del saluto è dentro una canzone. Una canzone che riesce davvero a negare la distanza.
“Lasciami andare” (dall’album “Vitamia”, 2011).
Una toccante versione acustica. Due occhi buoni , il buio di una stanza e le sue luci soffuse, la semplicità e la profondità di chi canta cose vere.
La dolcezza delle cose amare e tristi. La difficoltà di dire addio.
Come disse il cantautore stesso in un’intervista, “bisogna abituarsi all’idea che inizieranno a succedersi gli addii. Avremo sempre più a che fare coi funerali. Questa canzone voleva esprimere, da un lato la difficoltà, il sentirsi inadeguati in certi momenti. Dall’altro raccontare anche, con una visione laica, che non torneremo mai sui nostri passi. In primo luogo in queste circostanze, mi chiedo se, prima che questa vita finisca, è stato fatto tutto il possibile per viverla al meglio. Prima di utilizzare la dimensione del ricordo”.
Un’umanità d’animo che si rispecchia nelle parole e che permea anche il suo stesso modo di suonare.
L’inadeguatezza di fronte alle cose, alle persone, ai giorni perduti. Alle circostanze che prendono la forma di un ricordo. La delicatezza nel confessarlo a se stessi.
L’incapacità di salutare. La capacità di cantarlo e raccontarlo.
Ti abbiamo lasciato andare, ma c’è chi ti ricorda.
Al di là di quel muro, dentro una stanza, con una chitarra, con una voce lieve e calda.
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