- “La musica come professione”: quale insegnamento vuoi trasmettere a tutti coloro che frequentano i tuoi seminari?
Una delle cose cui tengo di più è l’aspetto professionale. È vero che noi facciamo un lavoro divertente, è vero che sembra stiamo giocando, ma è vero solo in parte, il divertimento viene se prima c’è una adeguata preparazione, se a monte il “divertimento” viene svolto con serietà. La professione del musicista va affrontata con la stessa serietà con cui un dentista tratta i propri pazienti o come lo fa un commercialista o un qualsiasi altro professionista, d’altra parte abbiamo la stessa tassazione. Spetta a noi fare in modo che il nostro lavoro non sia considerato solo droga e lustrini.
E’ ormai diventata una leggenda, ma ancora oggi noi incontriamo persone che quando dici che fai il musicista ti chiedono: “Si, ma di lavoro cosa fai?” Io sono sempre stato guardato con sospetto perché i vicini si domandavano cosa facessi, visto che dormivo fino a tardi (ora non più), rientravo all’alba, non avevo orari e con questo aspetto non potevo certo fare il commercialista. A qualcuno particolarmente curioso, che cercava di capire cosa facessi, ho detto che facevo il notaio, non mi sembrava molto convinto, ma almeno ha smesso di chiedermelo. Per i curiosi finalmente sono diventato un “professionista” da quando sono apparso in televisione al fianco di Pippo Baudo, che presentava una trasmissione alla quale ho partecipato con Loredana Bertè. Consacrato dal grande Pippo, il giorno dopo ho ricevuto un sacco di complimenti da parte del macellaio, del verduriere e dai vicini finalmente sollevati dal dubbio che fossi un rapinatore o uno spacciatore.
- Tu e De Gregori: qual è la scintilla che vi ha uniti?
La grande passione per questa professione, la costante voglia di migliorarsi e la forte curiosità. De Gregori, che potrebbe tranquillamente vivere di rendita, musicalmente parlando (e non solo), riproponendo sempre più o meno quello che il pubblico si aspetta da lui, invece è uno sperimentatore sempre alla ricerca di sonorità nuove e più attuali, infatti anche i suoi classici li aggiorniamo continuamente, seguendo il suono del momento che stiamo vivendo, senza preoccuparci mai di riprodurli nello stesso modo, o peggio ancora di riprodurli come gli originali. Io semplicemente la penso nello stesso modo, da sempre. Proprio questo ha fatto sì che iniziassimo a collaborare nel 1986 e che dal 2000 a oggi diventassi il produttore di tutti i dischi che abbiamo realizzato fin ora e il “Capobanda” nei Tour.
- Le tue origini sono quelle dei tempi in cui le band si chiamavano “Complessi”. Cosa è cambiato da allora?
Un po’ è cambiata la mentalità dei giovani che si approcciano alla musica. Prima lo si faceva veramente e solamente per passione, ora quasi tutti lo fanno per arrivare al “successo” spesso anche a scapito della qualità, pur di apparire. Per questo dobbiamo ringraziare i famosi “Talent” che a mio avviso “usano” i giovani per fare spettacolo, ma non li aiutano a crescere. Quando le Band si chiamavano Complessi i Vocal coach non si sapeva neanche cosa fossero, in compenso però c’erano produttori che seguivano i giovani talenti, case discografiche che investivano, autori che scrivevano. Ancora oggi ci sono autori che scrivono, ma hanno vita molto difficile perché spesso viene richiesto loro di scrivere seguendo certi canoni. Oggi principalmente la musica deve essere di immediata fruibilità, un giovane cantante/ cantautore se non convince con il primo “singolo” difficilmente avrà un’altra possibilità, è più comodo mandarne avanti un altro e questo io non credo faccia molto bene alla musica.
- Hai iniziato a fare musica ispirandoti ai grandi artisti degli anni ’60. Quali sono i modelli attuali ai quali un giovane chitarrista dovrebbe ispirarsi?
Io credo che i modelli validi siano ancora quelli. Youtube è una vetrina incredibile in cui si trova veramente di tutto: chitarristi che suonano con i piedi, bassisti che usano il basso come fosse un clavicembalo, batteristi che sembrano polipi. Veramente! Ci sono musicisti che fanno con i propri strumenti delle cose impossibili ai più, ma alla fine se vuoi sentire cose veramente emozionanti finisci per andarti a sentire Jimi Hendrix, Jeff Beck, Eric Clapton, Jimmy Page.
- Quale sogno devi ancora realizzare tra quelli nascosti nella custodia della tua chitarra?
Ti confesso che il mio più grande sogno è quello che vivo tutti i giorni facendo quello che da piccolo sognavo di fare. Non sogno altro che continuare a farlo sempre meglio. Spero comunque di riuscire prima o poi a partecipare ad un Tour mondiale, andare a suonare in posti lontani per un pubblico diverso da quello cui sono abituato. In tutti questi anni ho capito quanto in fondo sia piccola la nostra penisola, dopo un po’ non fai altro che tornare sempre negli stessi posti. Ha i suoi lati positivi perchè rivedi persone con le quali con il tempo hai stabilito un bel rapporto, mi riferisco ai promoters locali ad esempio, e a parecchie persone del pubblico ormai diventate amiche, nelle diverse città. Allargare gli orizzonti mi piacerebbe certamente, ma sono già molto soddisfatto così.
- Nuovi progetti in vista?
Tanti: oltre alla collaborazione con De Gregori sia dal vivo che in studio ho i miei corsi che riscuotono un grande successo, infatti ora incomincerò a portarli in giro, perché non per tutti è agevole venire in studio da me. Ho alcune produzioni di nuovi talenti che seguo, e devo finire il mio libro, perché ormai ho ricevuto delle serie minacce da parte della mia editor.