Un omaggio alla città meneghina alla ricerca di volti, personaggi, strade e periferie raccontate attraverso le tonalità del blues. L’esperimento di Folco Orselli porta il nome di Blues in MI: periferia identità di Milano.
Blues in Mi è un disco fortemente geolocalizzato, ma il ritratto che hai creato della città di Milano sembra voler uscire fuori dal limite urbano. A quale pubblico sono rivolte queste canzoni?
Naturalmente a tutti. Milanesi e non. Milano è un allegoria di metropoli, nel senso che ancora non è Londra o Parigi ma nei prossimi anni credo proprio, e mi auguro, che raggiungerà quei livelli. Se poi devo pensare a chi le ascolta allora è rivolto a chi vuole ancora trovare dell’autenticità nelle canzoni. Mi piace scrivere di quello che conosco, di quello che so e che ho visto e sentito in giro, mi piacciono anche le maschere, da cui si può vedere il “paesaggio” cambiato rispetto a quello che guardi, ma ad un certo punto della scrittura è meglio togliersele per non allontanarsi troppo.
Questo primo volume è caratterizzato da 12 tracce travolgenti, dal groove tagliente e ironico. Quali storie racconti?
Le storie della mia vita è di quella degli altri se fossi gli altri. Jannacci diceva una cosa amara ma illuminante “ E’ stato tutto inutile cercar di far capire che è sulla vita che si scrivono le canzoni”. Non è stato inutile perché tanti che fanno il mio mestiere questo suggerimento lo hanno colto. E’ anche vero che molti non lo hanno fatto e infatti si sente. Non c’è niente di peggiore del fingere la vita, o l’amore per essa o per gli altri, nelle canzoni o nei libri o nei film. Si sente. Si vede. E una volta capito il trucco repelle. La maggior parte delle canzoni mainstream mi fa quell’effetto li. Credo che applicandosi e sforzandosi un minimo faccia quell’effetto a tutti, ma purtroppo in questi anni hanno talmente abbassato l’asticella del gusto che la cioccolata non piace più ma il suo “succedaneo” va per la maggiore.
Sappiamo che è in preparazione anche un volume 2. Puoi darci qualche anticipazione?
Ho già registrato 8 tracce inedite nella prima sessione di registrazione, quella di Blues in Mi vol.1. A queste si aggiungeranno altri 5/6 canzoni che scriverò per il progetto sulle periferie che sto portando avanti. Saranno canzoni sulla città, sui luoghi. Mi piacciono molto i luoghi, dove le persone vivono. Basta aggirarsi e ascoltare, e le canzoni arrivano.
Tu, il blues e Milano. Qual è il fil rouge che unisce tutto?
Il blues è un genere dell’anima oltre che musicale. Un esperanto delle anime. Un filo che cuce le persone e i loro sogni e desideri, li cuce tutti insieme. Anche chi non sa cosa sia, chi non lo conosce è visitato dal blues. Perché è filosofia. Si occupa della verità delle persone.
E’ possibile fingere il rock, il pop, fingere di essere un cantautore, di avere qualcosa da dire. Ma non si può fingere il blues. E’ ridicolo. Quello che unisce tutto ciò che suono e che racconto è il blues.
Questo progetto ha visto la partecipazione di grandi professionisti, musicisti e non solo. Com’è stato lavorare con loro?
Ho sempre lavorato con grandi musicisti, che mi hanno aiutato a tirare fuori quello che ho in testa e nel cuore. La musica è fatta anche di parole, nel senso che con i miei collaboratori. oltre che di musica e di canzoni, si parla prima di affinità: di cibo, di donne, di amici, di vita. Questo fa si che quando si registra o si suona live si remi tutti insieme in una direzione.
Sono un autodidatta e la musica l’ho imparata con le orecchie e con il cuore, non con lo studio. Prima o poi mi ci metterò, a studiare dico. Sicuramente darò un nome a tutte le meravigliose cose che i musicisti, con cui ho avuto l’onore di suonare in questi anni, mi avevano già regalato.